venerdì 10 agosto 2007

Occorre per il dire e il pensare che l’essere sia (Parmenide)

"Conoscerai la natura dell’etere e nell’etere tutte
le stelle, e della pura e lucente lampada del sole
le opere distruttrici e da dove ebbero origine,
apprenderai le errabonde azioni della luna dall’occhio rotondo
e la natura, e conoscerai inoltre il cielo che tutto circonda
da dove nacque e come la Necessità guidandolo lo costrinse
a tenere i confini degli astri"
(Parmenide, frammento n. 10)

I sensi ci creano effettivamente confusione, mostrandoci un mondo in continuo cambiamento, mentre in realtà "l'essere è e il non essere non è"? L'Inizio e la Fine sono indifferenziatamente aspetti dell'essere? Dobbiamo negare il divenire, che pure è una delle maggiori evidenze della nostra vita? Mi trovo di fronte a discorsi complicati, probabilmente al di fuori della mia portata. Eppure penso che non è un problema solo mio: Appena si va oltre l'orizzonte della vita quotidiana, orientarsi diventa complicatissimo e anche, di conseguenza, le parole per indicare i percorsi diventano oscure e difficili a decifrarsi.

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