sabato 1 agosto 2009

Missione: convincere un pomodoro a smettere di fumare

Devo per prima cosa raccontare ai nostri lettori come ci siamo conosciuti. Tu sei stato acquistato da mia madre dal fruttivendolo e venditore di ortaggi, detto "u Biondo". Quando sei giunto alla sua bancarella dal mercato ortofrutticolo ti sei chiesto subito come mai lo chiamassero così. Nemmeno io l'ho mai capito, visto che si tratta di un vecchietto canuto. Questa comunque è un'altra storia.
Appena ti ho visto dentro quel sacchetto di ortaggi ho subito capito che ti portavi dentro un peso e che questo dolore interiore ti avrebbe impedito di essere mangiato con gusto da me o da un altro della mia famiglia. Ho deciso immediatamente di toglierti dal "coppo" di carta dove ti avevano infilato quasi a forza. Dal tuo colorito rosa smorto ho capito che avevi un problema di tossicodipendenza. Ricordi? Ti ho chiesto anche: tu guidi o ti hanno ritirato la patente? Hai precedenti penali?. Ti sei offeso, ma con compostezza dicendomi di essere un onesto pomodoro, cresciuto sotto il sole della Sicilia. Questo mi ha fatto pensare che avevi il problema del tabagismo. Se uno quando si incazza non si sente Dio, e non ha la voce alticcia e l'andatura ondeggiante di un ubriacone, è facile che abbia solo il vizio del fumo. Ti ho preso tra cinque dita, ti ho avvicinato al naso e ho sentito il tipico puzzo di catrame che confermava il mio sospetto. Peccato: avresti potuto essere un pomodoro così saporito...
-Vuoi smettere?- ti ho chiesto.
-Non voglio.- hai risposto, con tono deciso -non è mica colpa mia se sono cresciuto vicino a una pianta del tabacco-.
-Questa è incredibile!- ti ho detto.
-Si è vero, ho detto una bugia. E' stato una melanzana, compagna di cella frigorifera, a convincermi a fumare la prima sigaretta, nel lungo periodo di detenzione che ha preceduto la nostra vendita -
-Questa diciamo che è più verosimile. Te la dò per buona-

Ogni tanto mi vengono delle idee. Cerco di non fare distinzione tra quelle buone e quelle cattive. Oggi è così raro avere un'idea, che sprecarne una, buona o cattiva che sia, sarebbe un lusso. Mi ricordo che nel cassetto mi è rimasto un cerotto, residuto di uno dei miei ultimi tentativi di smettere di fumare. Cerotto alla nicotina! Pensate alla fortuna: se mi fosse rimasta una pastiglia da sciogliere in bocca oppure una gomma da masticare, non avrei potuto far niente per il mio povero pomodoro tabagista. Ma mi è rimasto un cerotto e posso appiccicarglielo sopra.
Lui si oppone e mi dice di no. Fa quasi pena, si appella persino alla Costituzione, recitando con voce tremante l'art. 32: Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario bla bla".
Rispolverando vecchi ricordi dei miei studi di giurisprudenza, gli dico che intanto lui non può, a stretto rigore, essere considerato un individuo a norma del comma primo; che anche a voler ritenere applicabile la Costituzione in caso di frutta e verdura, ci sono orientamenti recenti che propugnano cure obbligatorie a coloro che si trovano in stato vegetativo permanente (chi più di un pomodoro si trova in tale stato?); che comunque la Costituzione è stata abrogata ormai da parecchio tempo. E, alla fine della mia arringa, affermo con forza il mio diritto a decidere del suo destino -Hai tu braccia, mani, gambe, cuore e un cervello? No? e allora comando io!-
La storia è finita male. La mia non è stata una buona idea. L'ho trovato marcito dopo una settimana dento lo stipetto in cui lo avevo riposto, con il cerotto alla nicotina ancora attaccato. Avrei dovuto far finta di niente. Fosse andato a finire nel "coppo" di un altro più distratto, sarebbe stato fatto a pezzi e mangiato nel giro di poche ore. Così invece... che spreco!

domenica 19 luglio 2009

giovedì 11 giugno 2009

Alcune cose dall'Abruzzo

Per una minima premessa.
Raramente nella vita capita di fare esattamente ciò che si voleva. A me è capitato di recente, in Abruzzo. Sono tornato che non volevo scriverne, sia perchè mi sembrava un volermi mettere in mostra, sia perchè non sono bravo a parlare solo bene delle esperienze, tacendo sugli aspetti negativi. Ora ho capito: degli aspetti negativi non parlerò perché quando si è una minuscola rotellina in un ingranaggio complicato, è normale che qualche volta si giri a vuoto: in fondo l'importante è essere lì e fare i propri giri.

L'Abruzzo e la vitalità della terra

E' un posto bellissimo dove è presente una verde e montuosa riconciliazione con il creato. I terremoti che noi temiamo e per i quali non facciamo abbastanza per proteggerci, sono una manifestazione della vitalità della Terra. Anche noi siciliani lo sappiamo bene: questa terra viva che si muove, erutta, traballa e, a volte, uccide, noi l'amiamo. L'Abruzzo, il Friuli, la Sicilia, l'Irpinia, l'Umbria e tutte le zone sismiche e vulcaniche della terra non smetteranno mai di essere popolate, anche se nessuno può sognarsi di mettere i fermi al suolo e farlo smettere di muoversi. Dovremmo solo pensare a fare case più solide e resistenti.

Il nostro viaggio per terra e per mare.

Salvo Zappalà mi chiama e mi chiede se sono ancora disponibile. "E certo che lo sono!" Ho comprato un paio di scarponi antinfortunistici lo stesso pomeriggio dopo la scossa. Sarei partito anche a piedi e da solo, se a piedi e da solo fossi stato utile a qualcosa.Ho pensato a tutti quei momenti in cui il mio rapporto con la Croce Rossa non è stato idilliaco, alla notte in cui ho realizzato che stare in centrale operativa a Catania non mi soddisfaceva più e che dovevo fare qualcosa per cambiare; e anche ai diversi momenti in cui ho avuto la tentazione di lasciare l'associazione. La verità è che, se sei da solo, non sai fare e non puoi fare nulla. Invece in Croce Rossa posso fare la mia piccola e umile parte, tra gente che è come me.
Il viaggio è per terra e per mare e si arriva in una bellissima mattinata di sole.

Il primo giorno.

Avremmo tutti una gran voglia di cominciare a lavorare e di vedere la gente. Ma qualcosa si inceppa e gira a vuoto. Perciò quando qualcuno mi chiede se ho i guanti da lavoro, ringrazio il cielo di essermeli messi in tasca prima di partire. Andiamo ad Acciano a montare una tenda, che in realtà non sarà mai montata perchè la dove dovrebbe, non ci va. In attesa che arrivi un altro gazebo più piccolo, facciamo visita a una piccola comunità di sfollati. Un bicchier d'acqua lo accetto volentieri. Una signora cerca da noi rassicurazioni e ci esprime gratitudine, ma non c'è niente da ringraziare. Certo che finiranno le scosse. E penso, ma non lo dico, che da qui a cinquant'anni le case probabilmente crolleranno anche in testa a noi, in Sicilia. Chi ci aiuterà? Qualcuno sicuramente verrà e noi lo ringrazieremo, perché è nella natura degli uomini, in cui malgrado tutto ho fiducia, aiutarsi nei momenti di bisogno.

In cucina

Non ho patenti di Croce Rossa e non so cucinare. Non so fare l'idraulico né l'elettricista. A dire il vero non è che mi sia dato mai da fare a casa sbucciando melanzane o a tagliando zucchine. Devo imparare il più velocemente possibile perchè altrimenti cosa ci sono venuto a fare da queste parti? Maledetti guanti in lattice che mancano della mia misura, ci soffro non poco a portarli così stretti.
Il cuoco è Maurizio, corpulento e bonario militare di Croce Rossa, la cui presenza dà serenità e sicurezza a tutti. Ci sono Lucani e Siciliani insieme a fare da mangiare, a pulire stoviglie e vassoi, a servire a mensa, a impacchettare, alla velocità del suono, pasti per l'esterno. E Francesca, di Roccalumera, continua a stare in cucina dalla mattina alla sera.Lei, malgrado le preoccupazioni di qualcuno, è una donna d'acciaio. Uno grande e grosso, alla Caserma Rossi, mi è capitato di vederlo schiantato al suolo, ma Francesca, Ornella, Loredana, Ivana e le altre, anche quando stanno male, non cadranno mai, semplicemente perchè - lo si deve ammettere - sono di una razza superiore :-)

Il respiro della tenda

Nei dieci giorni in cui ci siamo noi fa un caldo da morire. Di giorno la tenda è invivibile. Entri per prendere qualcosa e devi scappare subito. Di notte non si sta così male. Ho dormito bene cinque o sei ore per notte, tanto da non sentirmi affatto stanco l'indomani. Sono tornato tardi da Acciano, il primo giorno, e quindi non ho potuto, nemmeno timidamente, manifestare la mia preferenza per il posto in basso nel letto a castello. Pazienza. Cercherò di salirci come meglio posso. In maniera abbastanza goffa ci riesco anche. Ma mi capita di sentire subito, palpabile, l'ansia della persona sotto, la cara Ornella. Evidentemente il mio peso ha deformato le molle in modo inquietante e devo aver fatto ondeggiare il castello un pochino troppo, sicuramente di più di una delle tante scosse sismiche che abbiamo sentito, specie i primi giorni. Nei giorni seguenti scoprirò che forse l'ansia della mia vicina di letto era un tantino esagerata, visto che le molle non cedono affatto. Togliamo la mia branda di sopra e la mettiamo a terra. Ad Ornella danno anche fastidio la luce della lampada notturna e il lampeggiare del led di un cellulare: ma per queste cose non posso far nulla.
Ho pensato alle tante persone che vivono nelle tendopoli di sfollati. Dieci giorni non sono tanti se sai di avere una casa vera in cui tornare, ma se non lo sai, sono certo che è durissimo vivere in tenda.
La tenda di notte respira in modo un po' pesante: qualcuno russa ma non è un russare pesante, anzi quasi ritmico che, secondo me, può persino conciliare il sonno. E nella mia tenda ci sono Loredana, Antonio, Roberto, Nello, Francesca, Ornella, Isidoro e Ivana.

Com'è la situazione?

Tutti mi fanno questa domanda e io non so cosa rispondere. Intanto non ho avuto grandi rapporti con la popolazione e non sono uscito così tanto dal campo. Poi non saprei cosa dire. La situazione è che c'è tanta gente che ha perso i propri cari e le proprie case. E non è che dopo due mesi ti passa. Tutti quelli che abbiamo perso qualche persona cara lo sappiamo. Non passerà presto.

Giorni speciali

Sono stati giorni speciali in un posto speciale e con della gente speciale. Siamo tutti pieni di difetti, siamo tutti esseri umani. Non voglio ringraziare i miei colleghi profondendomi in una lunga elencazione delle loro qualità morali e delle loro abilità tecniche. Li voglio ringraziare principalmente e semplicemente perché mi danno speranza e mi motivano a percorrere la strada, molto lunga, che ho da fare per diventare una persona migliore

venerdì 1 maggio 2009

Delara giustiziata e alcune considerazioni sul "qui da noi"


L'esecuzione di una pena capitale nei confronti di una ragazza di 23 anni ci deve spingere a riflettere, sul significato della parola giustizia, sullo strumento principe con cui, in terra, si cerca di raggiungere tale risultato, cioè il diritto, e sulla distinzione che esiste tra l'applicazione di una pena legalmente stabilita da un Tribunale imparziale e la pura e semplice vendetta.
Le persone non sanno nulla delle varie teorie giuridiche che stanno alla base della previsione di pene nei confronti di rei di un qualche reato e forse è un bene che sia così. Quello che non può sfuggire a qualsiasi persona di buon senso è che l'instaurazione di un sistema penale basato sulla vendetta porterebbe inevitabilmente a una catena senza fine, fatta di violenza infinita, di soprusi, di linciaggi, di sangue, di errori; fenomeni, insomma, che nessuna persona di buon senso può volere per sé e per i suoi figli.
Stranamente tutti o quasi sono d'accordo nell'invocare la pena di morte per gli stupratori, o quanto meno, la loro castrazione; lincerebbero all'istante i pedofili; impiccherebbero senza processo i rapinatori, specialmente se extracomunitari e poveri. Ho buttato lì tre reati che mi sono particolarmente in odio, perchè denotano una particolare tendenza alla violenza fisica e morale e una assoluta mancanza di rispetto per l'umanità nel proprio simile. Non posso negare che di fronte a tali azioni provo anche io un impulso violento e vendicativo.
Ma la vendetta distrae dal bene e dalla giustizia.
Quello che manca qui da noi non sono le leggi che comunque sono sempre migliorabili,. Quello che manca a mio parere sono delle cose molto pratiche e banali dalle quali purtroppo siamo distratti, per rabbia e desiderio di vendetta.
Nessun sistema penale può essere credibile quando alcune classi o caste si esentano di fatto e di diritto dall'osservanza della legge penale.
Nessun sistema penale può essere credibile quando alcuni reati vengono puniti e altri puntualmente dimenticati.
Nessun sistema penale può essere credibile se un processo penale troppo farragginoso e pseudogarantista porta a troppi errori formali, che provocano assoluzioni o scarcerazioni contrarie al senso di giustizia.
Nessun sistema penale può essere credibile se viene lasciata troppa discrezionalità ai giudici e i cittadini hanno l'impressione che una maggiore o minore severità nell'applicazione di una pena siano lasciati al caso o alla fortuna.
Nessun sistema penale può essere credibile se i cittadini sanno di avere a disposizione dei "bonus" (leggasi sospensione condizionale della pena, affidamento in prova etc) che li esentano di fatto dalla pena fino a un considerevole numero di anni.
E' tempo di pensarci a queste cose, se non vogliamo che a breve da noi si verifichino situazioni in cui una giovane donna di 23 anni viene condannata a morte e il suo fidanzato a dieci anni per uno stesso identico fatto in cui, al più, sono stati complici.

(Delara giustiziata)

domenica 5 aprile 2009

Su Catania, su Report, sui giovani mandati a morire e sulla cattiva informazione

Dicono che su Catania sia stata fatta cattiva informazione. Su "La Sicilia" di oggi 5/4/2009 il prof. Barcellona lo dice esplicitamente in questo passo che riporto fedelmente: Sarebbe veramente grave se la discussione provocata dalla trasmissione Report si chiudesse con un serrate le fila di più o meno illustri esponenti dell'establishment della città. E lasciatemi aggiungere che il modo in cui si sono sviluppati gli interventi sulla stampa dà l'impressione di una debolezza sostanziale e di un arroccamento difensivo. Ritengo, invece, che contro la cattiva informazione si risponde con l'analisi, le argomentazioni puntuali e le proposte per uscire da un'indubbia situazione di disagio (vedi link)
Il professore parla anche del ruolo che dovrebbe avere l'Università nella rinascita della città in generele e di quel particolare luogo, all'interno di essa, che si chiama Librino.
Il mio cervello passa di palo in frasca. Mi spiace. Il discorso sull'Università di Catania mi ha ricordato una cosa. Mi ha ricordato il trattamento che quest'Università ha riservato a tanti suoi giovani di valore, tra cui il dr. Emanuele Patanè, di cui linko il memoriale che ho trovato qui.
Dove sarebbe la cattiva informazione? Dire che una cosa del genere (la morte e la malattia causata dall'incuria, dalla mancanza di professionalità, dalla mancanza di rispetto della vita umana) è tipica di un certo modo di vedere le cose "catanese", di un peculiare istinto autodistruttivo della città, è dire una bugia? Il palazzo di cemento, la vara della santa spinta da mafiosi, gli allagamenti in città, gli atteggiamenti inquietanti nei confronti di cittadini che si sono fatti intervistare, sono cattiva informazione? No, sono immagini che abbiamo visto tutti e su cui ognuno può fare le proprie valutazioni. Solo chi, nel proprio intimo, pensa che le cose vadano bene così, può dire che si tratta di cattiva informazione. Lo stesso discorso si può fare per le morti di molti giovani ricercatori che, per esempio, diventano cattiva informazione solo dopo che si sono verificate. Prima sono soltanto morti inutili di giovani che erano stati illusi di potere cercare il loro avvenire a Catania.
La mia considerazione, caro Prof. Barcellona è questa: Lei e molti altri che scrivete "liberamente", avete certamente usato male la vostra libertà e i vostri sensi di colpa vi spingono ora a questa patetica difesa dell'indifendibile.

giovedì 26 marzo 2009

Pro Memoria per i Legislatori

Art. 32, comma 2 della Costituzione: Nessuno puo' essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non puo' in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

P.S. Si lo so che il Legislatore se ne frega dei miei promemoria, ogni tanto però leggersi la Costituzione farebbe bene a tutti....

Dal Catechismo della Chiesa Cattolica

2278 L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'« accanimento terapeutico ». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente.

domenica 1 marzo 2009

Su Eluana

Nei giorni che hanno preceduto l'ultimo viaggio di Eluana mi sono lasciato ossessionare dai problemi che poneva la vicenda. Ovviamente avendo manifestato la mia opinione che bisognava lasciare andar via la ragazza, mi sono sentito dare anche io del nazista. Non mi sono offeso molto. Un pochino solamente, perché proprio non mi appartiene la concezione che debbano vivere solo i sani, alti, biondi e con gli occhi azzurri.
In preda all’ossessione, ho riletto una cosa che avevo trovato qualche tempo fa (http://www.zadig.it/speciali/ee/stud1.htm) e mi sono preso la briga di leggere il decreto della Corte d’Appello di Milano (ah quei giudici “omicidi” che hanno autorizzato la fine di Eluana…).
Intanto mi sono reso conto che diamo troppe cose per scontate. Gli stessi problemi che ci siamo posti per Eluana ce li potremmo porre per tutte quelle persone che definiamo in stato di morte cerebrale. Visto che oggi, a differenza di un tempo, potrebbero essere tenute in vita artificialmente per molto tempo, nulla ci autorizzerebbe, a ragionare in termini rigorosi, a staccare le macchine.
A questo punto la mia mente è quasi sopraffatta dall’immagine di un enorme, quasi infinito, stanzone in cui un’umanità completamente folle e rincitrullita manterrebbe in stato di vita assistita tutte queste persone dalle facoltà cognitive irrimediabilmente compromesse. La vita umana, dicono alcuni, deve essere preservata ad ogni costo, dall’inizio alla fine. Ma proprio dall’inizio inizio e per sicurezza da quando lo spermatozoo si trova a qualche millimetro dalla cellula uovo, fino a quando morirà l’ultimo meccanico in grado di aggiustare le macchine. Ma la tecnologia progredisce in fretta e domani potremmo trovarci di fronte a nuovi e imprevedibili metodi per prolungare la vita.
Il problema a mio modesto avviso non è capire quando c'è la vita o quando la morte. Piuttosto dobbiamo avere il coraggio di chiederci correttamente quando è lecito togliere la vita; perché non si tratta più di una persona ma di una “res” che non è lecito continuare a venerare come se si trattasse di un sepolcro a cielo aperto (“lasciate che i morti seppelliscano i loro morti”).
Mi accorgo che questo discorso porterebbe via troppo tempo. Non me la sento di affrontarlo se non altro perché l’accusa di nazismo mi pesa ancora addosso come un macigno. Non voglio essere un nazista, né ora né mai, ma non vorrei mai lasciare mio padre, mia madre, mio fratello, mio figlio, in stato vegetativo persistente, se loro avessero espresso in vita la volontà di non essere mantenuti in quello stato. Sono così convinto di questo che sarei disposto a essere condannato da Dio insieme agli omicidi, nell’ultimo giorno. Ma il Dio in cui credo non ha creato i respiratori artificiali e gli altri attuali efficaci strumenti di rianimazione e non penso che mi condannerebbe per questo. Magari per la mia ignavia o per altri peccati di cui mi sono macchiato nel corso del tempo, ma non per questa mia convinzione.
Io ho assistito agli ultimi giorni di mio padre. E questa esperienza mi ha cambiato per sempre. Non ci posso fare niente. La sofferenza, anche quella altrui, ti cambia, ti spezza qualcosa dentro, ti rende capace di fare cose che non avevi mai fatto prima né mai più rifarai. Io ho assistito il mio papà fino all’ultimo giorno. Non penso che l’idratazione sia un accanimento terapeutico. Noi abbiamo continuato a idratarlo, anche dietro consiglio di un medico che ci fece notare che non era possibile sapere se e quanto soffrisse la sete. So che abbiamo fatto la cosa giusta, per noi. Ma il dubbio ti viene, quando vorresti aiutare qualcuno che non puoi più aiutare e ti chiedi se forse non potresti invece accompagnarlo e permettergli di ritrovare la pace.
Il caso di Eluana è diverso. La scienza e gli esami strumentali ci dicono che nei casi come quello di Eluana la corteccia cerebrale è definitivamente andata perduta. Eluana non esisteva più come persona da tantissimo tempo (invito a leggere il decreto della Corte di Appello di Milano e, in particolare le considerazioni svolte da quei giudici su questo punto).
Per finire vorrei riflettere su questo: “Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito”. Questa mi è sembrata la posizione dell’Italia pseudo-clericale. Una mancanza di pietà che spinge a dare dell’assassino a chi mi ripugna chiamare assassino.
Chiedo perdono per quanto mi sono dilungato.
Saluti a tutti
I.

P.S. Era molto tempo che non aggiornavo questo blog. Perciò anche su consiglio di un'amica, ho deciso di riciclare questo mio commento pubblicato qualche giorno fa su blog UGUALE PER TUTTI a questo link
Ovviamente a quel blog e a tutto l'interessante dibattito svoltosi sul caso Eluana, rimando chi si imbattesse in questo post

giovedì 26 febbraio 2009

Tirannide

"...Tirannide indistintamente appellare si deve ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzione delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto eluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono o tristo, uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammetta, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo". »

(tratto da Della Tirranide - Vittorio Alfieri)


(già pubblicato il 18/04/2008)

sabato 10 gennaio 2009

venerdì 9 gennaio 2009

L'amore, lo sciacquone e un rocchetto di Ruhmkorff (1.1)

A volte uno sente il bisogno di rivestirsi. E tanto difficile capirlo per te? Si è vero, mi sento beato nel tuo corpo nudo che si strofina al mio, quando non riusciamo a farci male nemmeno quando ci proviamo fortemente. Ma ogni tanto uno sente il bisogno di rivestirsi.
Capita che uno si mette i calzini e le scarpe e va in bagno a fare una bella pisciata, alle tre di notte. Il mondo è tutto silenzioso e quel rumore è quello che il mondo sa dirti in quel momento, un po' poco insomma anche se pregno di significato. Tu sei di là che dormi nel letto, inconsapevole dei miei dubbi. Ci tenevi tanto a dormire con me una notte, ma io lo sapevo che sarebbe arrivato il momento in cui la mia vescica mi avrebbe sorpreso mentre dormivi. Non sapevo però che i miei dubbi avrebbero preso le sembianze di una stanza da bagno e le voci interiori si sarebbero materializzate nel rumore che fa un piccolo getto di liquido giallo quando incontra altro liquido.
Ho capito. Ora torno di là e non ci penso più. Mi addormenterò stanotte con l'intenzione di non ripetere mai più quest'esperienza, almeno con te. Ogni incertezza, al riguardo, è fugata. Ora lo so.
Gianni una volta al bar - i tre soliti amici- ci parlò del rocchetto di Ruhmkorff. Non capivo molto di cosa fosse e a che servisse. Avevo capito che ci voleva molto fil di ferro e molto rame, un sacco di tempo e un po' di follia per costruirne uno con le proprie mani. Avrei voluto che si innamorasse tanto della sua idea da spingersi temerariamente nel campo di quelli che riescono a finire le cose. Invece qualche mese dopo spuntò con l'idea di costruirsi una canoa e io riuscì a stento a trattenermi dal dargli uno schiaffo. E questo anche se l'idea di costruirsi una canoa è bella lo stesso, ma non è questo che mi fa incazzare; è che mi detesto anch'io quando comincio mille cose e non ne finisco una. Come questa notte che sono passati solo venti minuti da quando mi sono alzato l'ultima volta e ora non trovo il modo di alzare il tuo braccio dal mio petto, perché mi scappa di nuovo.
Ora questo pensiero del rocchetto di Ruhmkorff è diventato quasi un sonno agitato in cui vedo che fine farà il nostro rapporto. Finirò con il restarti accanto nudo stanotte anche se fa un po' freddo e ti sei tirata la coperta tutta dal tuo lato. Lo faresti tutte le notti? Credo di si, anche se il tuo leggero russare fa pensare che tu voglia dire di no, che le circostanze eccezionali, la felicità mista alla fatica fisica delle nostre follie amorose, ti hanno spinto a tanto; e che non succederà più che tu tenga la coperta tutta per te.
Io però ho delle intermittenze nella testa e alterno momenti in cui capisco tutto e ho tutte le chiavi che possono spingermi per la diritta via e poi, in qualche istante, mi perdo lontano o mi distraggo sognando il tuoi seni e la tua pelle morbida.
Anche di te tuo fratello diceva che non riuscivi a tenerti gli stessi amici per tutta la vita e tu lo accusavi della cosa inversa e cioè che lui aveva avuto una vita noiosa, giornate sempre con lo stesso canovaccio, stesse battute, stessi rapporti di forza, stesse persone, fino a quando la moglie non lo aveva lasciato colpevole di non aver voluto un altro figlio.
Nella bobina di Ruhmkorff, su un nucleo fatto di fil di ferro dolce vengono avvolti due strati di rame isolato, poi un numero grandissimo di giri di filo di rame, isolato con seta, del diametro di circa un decimo di millimetro.
In realtà non so niente di elettrotecnica e, se non fosse stato per Gianni, avrei vissuto tutta la vita senza sapere niente del signor Ruhmkorff e del suo rocchetto. Però effettivamente ci vorrebbe molta pazienza ad avvolgere le spire a mano. Non riesco a immaginare come Gianni da solo avrebbe potuto concludere quel lavoro immane. Perché poi?
Forse non era una buona idea nemmeno all'inizio.
Invece io non mi stancherei mai di accarezzarti questa bella schiena e di proseguire più in basso e più in dentro, con delicatezza, cercando, ma nemmeno troppo, di non svegliarti. Chissà se il sole sorgerà domani? Della cosa conservo una certezza irrazionale. Ma non so nemmeno se sarà lo stesso Sole di oggi o se qualche forza maligna lo trasformerà in una nova destinata a irradiare luce, energia e distruzione per secoli e millenni e milionate di anni di luce. So solo che questo tuo leggero russare mi tiene sveglio e mi preoccupa. E' amore. E' solo una piccolissima possibilità che per qualche picosecondo il mio cervello abbia scordato la propria individualità e si sia perso nelle spire molteplici di una possibilità di vita, con te.

lunedì 5 gennaio 2009

Pippo Fava - ultima intervista



Che dire? non sembra che sia passata tanta acqua sotto i ponti....