lunedì 27 agosto 2007

Lucio

Bruciavano le macchine in quel periodo a Riposto. Di notte qualcuno, appassionato delle fiamme, solo per passatempo, si metteva ad appiccare il fuoco. Fu così che la puzza di bruciato giunse fino alle narici di Lucio, che, in quel momento, era impegnato nella sua realtà, a giocare a carte con un amico gnomo.

Lucio u pazzu, quando era nella nostra realtà, che per lui comunque era un gioco in cui credeva di dar fondo a tutte le sue migliori doti di fantasia ed immaginazione, era un incredibile bestemmiatore. Siccome io non condivido il fatto di bestemmiare, non ho preso appunti quella notte. Tuttavia vi devo assicurare che la fantasia di Lucio non aveva limiti. Così come non sembrava avere limiti la sua capacità di ricordare a memoria versetti della Bibbia, l'unico libro che leggeva avidamente da una trentina di anni a questa parte, solo perché gli piaceva fare polemica con Dio. Di giorno fermava i passanti e chiedeva loro se conoscessero quel tale o tal altro episodio del Libro sacro. E se qualcuno, di tanto in tanto, gli dava corda, con modi un po' alterati, gli spiegava come anche il più cattivo degli uomini, in quella o in quell'altra storia, si sarebbe comportato in modo più umano di come aveva agito il Signore degli Ebrei.

Uscì per strada, quella notte, richiamato dalla sirena del mezzo dei pompieri e attraversò la strada senza guardare, con l'attenzione, il naso e la bocca a cercare dove fosse scoppiato l'incendio.

E che ci poteva fare se i suoi amici folletti lo prendevano per scemo. Lui di tante cose di quella realtà immaginaria non poteva fare a meno. L'acqua corrente, il pane caldo, lo sticchio, non esistevano nel vero mondo, e, quanto meno, non esistevano le fragranze e i sapori che riusciva a provare in quel mondo di fantasia. E così malgrado tante persone lo prendessero in giro e si comportassero spesso da grandissimi figghi di troia, lui i suoi giri in paese, doveva farseli. Gli accadeva poi spesso di dileggiare quel Dio che non esisteva, come non esisteva quel suo mondo di immaginazione, e di attraversare la strada senza curarsi di velocissime autovetture che esistevano solo nella sua mente, come gli aveva rivelato il folletto psichiatra che lo aveva in cura.

U pazzu sapeva di non essere il migliore degli uomini, ma quando i bambini lo prendevano in giro non li malediva come aveva fatto il profeta migliaia di anni prima, per timore che quel Dio che detestava, mandasse la sua orsa ad ucciderli, non potendo neanche immaginare il rimorso di coscienza che avrebbe provato alla vista dei giovinetti orribilmente straziati dalla fiera.

E poi poteva permettersi di disputare con Dio perché, intanto non era il primo a farlo nella storia e poi perché la sua malattia mentale era acclarata in entrambi in mondi in cui viveva. Questo avevano in comune il suo folletto psichiatra e l'uomo psichiatra della sua realtà immaginaria: che entrambi davano così poca importanza alle due realtà di quel povero Cristo, che era una fortuna che quello non se ne fosse inventata una terza per sfuggire ai suoi medici.

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