mercoledì 15 agosto 2007

La famiglia di Marino

Una nuvola viaggiò in poche ore dal sud al nord di quel nuovo cielo. Marino non aveva mai visto una cosa tanto bella. Ogni cosa in quel mondo gli dava un piacere estremo ed allo stesso tempo, calma e benessere.

Lui però non ricordava come vi era arrivato. Non sapeva nemmeno se avrebbe dovuto muoversi, andare da qualche altra parte. Il tempo sembrava scorrere normalmente. Il suo orologio ticchettava mentre i suoi ricordi svariavano qua e là.

E usò il tempo che aveva per versare tutte le parole nello spazio della coscienza, in fila ordinata. Di quasi tutte ricordava il suono ma non riusciva più a ricordare il senso. Pensò al dolore, pensò al concetto di pianto, al concetto di fame. Ma la mente gli andava sempre alla mamma che gli dava da mangiare sotto la pianta del limone. Il pane inzuppato nel latte o bagnato e ricoperto di zucchero sapeva di buono mentre lui e lei erano seduti all’ombra sopra quel muretto e tutto era in pace con tutto.

E poi la mamma col viso corrucciato per qualche sua marachella e lui che provava angoscia per la possibile perdita del suo amore. Ma angoscia era un termine senza senso in quel mondo e non riusciva più a ricordare la sensazione del soffrire. E altri ricordi si ricongiungevano a quello, suoni e odori, di quand’era bambino fino ad allora ricoperti del fastidioso brusio della sofferenza. Vedeva alberi scintillare fuori e quella luce gli bastava. Comprendeva si e no il perché, ma tutto il suo essere era pieno di amore e gratitudine.

Poi pensò alla tristezza di tutte le volte che si era sentito solo e pensò che malgrado tutto, tutte le persone che aveva conosciuto e che aveva conservato dentro di sé, oggi, in questo nuovo luogo, gli bastavano. Andava avanti e indietro con la mente durante tutta la sua vita e le cose ora avevano lo strano scintillio azzurro di quel luogo. Ma tutto, gli amori, i litigi, i dolori alla cervicale, le umiliazioni inflittegli dal suo capoufficio, ora gli apparivano sereni e necessitati sviluppi della sua esistenza.

Carmen, Amore!

“Signora suo marito è morto, il cuore gli batte ancora, ma il cervello ha smesso di funzionare al momento dello schianto”. Carmen era angosciata. Aveva quel bambino dentro di sé e tutte quelle cose da fare a casa. Gli sembrava di avere troppa roba da stirare. “E che cazzo!” stava perdendo tempo. Lo schianto, il cuore che batteva piano. Il cervello spappolato da qualche parte. Era una sensazione strana, avrebbe voluto andare a casa sua e mettersi a preparare qualcosa da mangiare. Per lei, per Marino. Un’insalata, una mozzarella, due panini. Sentiva un’irresistibile voglia di chiedergli cosa volesse da mangiare. E la sua mente si fissò nel forno della sua cucina e pensò che avrebbero espiantato il cuore di suo marito. Aprì il forno con la fantasia e vide il suo cuore, il cuore di Marino battere in quel posto improprio e sbagliato, quasi come il petto di un altro. E la luce si negò.

E poi le venne voglia di fare l’amore con lui. Avrebbe voluto renderlo felice, accarezzarlo, dargli tutto il piacere possibile. Poi dopo un attimo pensò al mare e si straniò completamente dalla realtà mentre il cuore le batteva così forte da farle tremare la lingua e il palato.

Il bambino dentro di lei.

Il mondo era un’oscurità informe, ma la sua mente produceva di tanto in tanto delle luci e dei colori già scritti come un vecchio software, da qualche parte, nei suoi geni. Poi sentiva qualcosa ma non era ancora in grado di distinguere sé dal battito continuo del proprio cuoricino e di quello della mamma. Sicuramente attraverso il liquido amniotico arrivava ai suoi neurorecettori qualcosa delle sensazioni e dell’immagine del mondo di sua madre. Anche lui era pieno di ansia. Anche a lui arrivava qualcosa del padre morente, ma la coscienza ancora non si era formata e non possedeva neanche i nomi per quelle cose: padre, dolore, morte. Era proprio la funzione del dolore che ancora non era completa, sicché i suoi organi erano influenzati dal dolore ma era solo una sensazione di battito accelerato, una specie di sballottamento, una cosa lontana dal dolore vero, quello che ha una parola per definirlo e contenerlo. Non ci sarebbe stata memoria di quell’evento che lo aveva un po’ disturbato. Il bambino si mosse e il suo calcio sveglio sua madre dalla trance. Neanche quell’urto aveva ancora un nome. Solo un moto come un altro dell’incoscienza che va lentamente alla conquista di un corpo.

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