sabato 18 agosto 2007

Mirko al castello

Questo raccontino risale a qualche anno fa. Purtroppo non annoto le date e non mi interessano molto devo dire. Oggi come oggi, non scriverei più questo racconto nel modo in cui l'ho scritto, anzi ho in mente di rimaneggiarlo radicalmente, per cercare di salvare quanto mi corrisponde ancora oggi. Non mi sento più un lavacessi di castelli, quanto piuttosto un cane che tira la slitta (c'è sempre qualcosa di autobiografico nelle cose che scriviamo....). Quindi qualche progresso nella scala sociale l'ho fatto :-)





MIRKO AL CASTELLO


Osservando con attenzione quel castello a forma di maestoso parallelepipedo nero, come faceva sempre prima di entrare a cercare lavoro, Mirko cercò di indovinare se il castellano era un uomo avaro o generoso. I padroni generosi di solito pretendono dalla servitù una generosità simile alla loro, cosicché alla fine i loro servi, proprio a causa di quella qualità innestata per doverosa imitazione, rimangono più poveri degli altri. Gli avari invece pretendono sempre un minuto in più di lavoro e quando hai fatto il minuto ripetono la richiesta fino a quando non siano passate molte ore dalla fine pattuita del tuo servizio. E poi dimenticano di retribuire alle date prestabilite e glielo si deve ricordare, sempre con la massima cortesia dovuta ai padroni; ma anche così ti guardano male e sperano ti poterti presto licenziare, trovandoti in fallo per qualche cosa, senza doverti pagare l’ultima mercede.

Così egli cercava una via di mezzo; uno che gli permettesse di vivere decorosamente del suo lavoro senza dover dare del tempo in più, e senza essere costretto a fare il doppio dello sforzo per disobbligarsi. Voleva diventare invisibile, come era appropriato all’umiltà della sua mansione.

Faceva il lavacessi nei castelli Mirko e gli piaceva il suo lavoro. Oltre a questo, gli piaceva far l’amore con le serve e inventare strane storie su macchine volanti e uomini meccanici. Era molto magro, ma aveva un fascino notturno, capace di procurargli molte avventure con donne scontente del proprio quotidiano lavoro e della propria vita monotona. Inoltre le sue storie sugli uomini meccanici, raccontate alle giovani, assumevano sempre delle ipnotiche sfumature erotiche, che aveva grandi effetti sulle donne che affollavano il suo giaciglio.

Di giorno, invece, quelle stesse donne lo guardavano con una punta di dispettoso disprezzo e mai avrebbero ammesso le une con le altre di essere state ospiti di colui che provvedeva a tenere pulite le latrine del castello. I loro sguardi anzi lo sfuggivano. Mirko, il lavacessi, non si lamentava mai di tutto ciò, attendendo al proprio lavoro con filosofico impegno.

“Avrei voluto continuare a dipingerti con gli stessi colori vivaci di prima. Ma oggi ho compreso che il tuo compito in questo castello ci allontana oggi e ci allontanerà per sempre. Eppure ancora vorrei scaldarmi alla tua umanità, tanto è il freddo che sento. Così disse la signora del Castello a Mirko, pensando che in natura invero non esistono colori ma solo occhi: i soli pittori, imbianchini, decoratori e coreografi, artisti,un spesso tanto fantasiosi che riescono a fare di un lavacessi un eroe pieno di dolcezza e carità.

Lei si era sorpresa a spiarlo, qualche mese prima, mentre lui puliva il suo cantero. Le feci della signora emanavano ancora un forte odore perché era malata. I servi le portavano il cantero in stanza ad ogni sua richiesta e alla fine Mirko andava a riprenderlo, lo portava via, lo svuotava lo puliva e deodorava, infine lo rimetteva a disposizione della servitù, pronto al prossimo uso.

In questo modo aveva conosciuto le feci della signora e le aveva quasi trovate interessanti, e, a dire il vero, aveva trovato ancora più interessante l’espressione da ladra di quella donna che lo spiava dalla porta socchiusa. Lui aveva odorato con un gesto appariscente e lei aveva riso. Lui aveva visto e lei sentito.

I desideri spesso non si lasciano contenere da piccoli inconvenienti pratici, come le distanze. La Signora abitava all’ultimo piano del Castello e il lavacessi al più basso e nascosto. Un castello, tuttavia, è pieno di nascondini e di passaggi segreti, una vasta teoria, regno incontrastato di spie, assassini e amanti. Così dopo ben poco tempo lui si era ritrovato nel letto di lei, malgrado questo contrastasse con la sua prima regola di evitare e disprezzare le padrone, almeno come amanti.

“Ci sono comunque molti colori dentro di te, anche se vanno cercati e braccati come un cacciatore fa con le sue prede; anche se sei ferito, anche se questa magnifica verga ha un po’ l’aspetto di un fungo velenoso”, disse lei, mentre appoggiava le sue labbra al pene di Mirko.

Ma tutti e due sapevano che la loro storia d’amore non sarebbe continuata per sempre. Ci sarebbe stato presto un fatto nuovo, un imprevisto. Magari non l’ira e la gelosia del padrone, ma un altro evento che avrebbe impresso alle loro vite una di quelle brusche accelerazioni che ti fanno partire come un proiettile da dove sei e ti conficcano in un punto imprecisato del tempo del tuo tempo, che può essere anche molto distante da dove ti trovavi prima.

E così fu.

Il Castello era partito e ormai da terra i contadini lo vedevano come un puntino nero alto nel cielo.

Il padrone aveva catturato il drago durante la caccia e si era messo in testa la folle idea di serrare le fauci della bestia così da fargli accumulare il fiato rovente dentro i polmoni. Avrebbe poi liberato il fuoco del drago istantaneamente per incanalarlo attraverso il condotto che dai cessi del Castello portava alla fossa di scarico dei liquami, come in un motore a reazione. Il castello si sarebbe alzato e partito in viaggio alla volta della Luna.

Essendosi forse associate nella mente del padrone le idee di fogna, di fuoco e di cessi, aveva dato a Mirko il compito di pulire la prigione del drago incatenato; può darsi che ciò fosse successo perché un istinto aveva fatto sospettare al signore del Castello il tradimento della moglie col lavacessi ed egli, in segreto, sperava che il fuoco del drago lo bruciasse o che un colpo d’ala lo decapitasse.

Gli occhi del drago furiosi spesso incontravano quelli di Mirko, che era innamorato e ferito per l’abbandono della signora che ormai non voleva più vederlo, tornata ai molti amanti di prima.

La signora, il giorno dopo in cui il suo sposo, con fare baldanzoso, le aveva annunciato la sua intenzione di partire alla volta della luna con tutto il castello, la sposa, i figli e la servitù, aveva temuto per la vita sua e per quella dei figli e aveva pensato che una tranquilla vita con Mirko, come moglie del lavacessi di un qualche castello, sarebbe stata preferibile a qualsiasi morte per opera del drago, del volo o di un abitante lunare. Ma ad un lavacessi che vive a stretto contatto e conosce come e più di sé stesso i più fetidi escrementi umani, non si può chiedere tanto. E così Mirko aveva rifiutato la fuga, attirandosi l’odio e il disprezzo della padrona.

“Non posso, signora, ho un contratto e ho paura. Preferisco morire che portare su di me il pesante fardello di una donna e dei suoi figli. Ho un contratto e ho paura. Io sono un umile servo e farmi marito della mia padrona non posso. Non posso, signora, perché dentro di me non so se sia amore e non so se posso sfidare, il padrone ed il drago. Ho un contratto e preferisco morire piuttosto che essere padrone assoluto di un gesto di sfida”.

Ora egli sentiva in cuor suo di non avere più nulla da fare in quel posto e se ne sarebbe di certo andato, se al Padrone non fosse venuta l’idea di tenere tutte le uscite chiuse fino al giorno della partenza. I suoi uomini e la sua discendenza avrebbero popolato la Luna. Nessun tradimento poteva minare un progetto così grande e così folle.

Fu così che nel giorno stabilito le fauci del drago furono lasciate libere e la sua grande bocca si aprì lasciando che il fiato rovente defluisse libero verso le fondamenta. Il Castello si alzò. La sua struttura fu scossa. Le vibrazioni si fecero sempre più forti e tutti temettero che tutto crollasse o esplodesse. Eppure si alzò. E salì. Arrampicandosi nell’aria. Scalando le nuvole e ancora velocissimo ancora oltre, più su. Il cielo lontanissimo si arrendeva a poco a poco all’ascensione, ma sembrava infuriarsi vieppiù per quel Castello che andava conficcandosi nella sua carne azzurra e bianca. Il drago non sapeva fermare il fuoco che gli usciva dai polmoni e lo sputava sempre più fortemente verso il condotto. Sembrava che la portata aumentasse indefinitamente. Nessuno aveva potuto calcolare con esattezza il tempo della costrizione necessario a raggiungere la spinta e la velocità necessarie alla partenza e così adesso il fuoco sembrava eccessivo e si trasformava in un’interminabile accelerazione e in tremori troppo grandi per la vetusta struttura del Castello. Lo stesso corpo del drago non poteva resistere a tanto.

Così, alla fine, in una fragorosa esplosione, si la pancia del drago si squarciò e il fuoco sgretolò e si mangiò il castello. Tutti sentirono vicina la morte. Non v’è salvezza dal fuoco, né si scampa a una caduta da una così grande altezza. Gli occhi di Mirko videro strane cose nel vago tentativo di evitare la consapevolezza del presente. Così la speranza del lavacessi si puntò sul seno della sua signora e amante, per la quale, come per sé stesso, non poteva trovare né sognare salvezza.

Ma fu l’imprevisto a salvarlo, perché, durante la caduta, si trovò ad urtare contro un lembo dell’ala del drago e l’afferrò.

E dolcemente planò attraverso l’atmosfera rallentato dall’ala del drago senza conoscere il mondo verso il quale scendeva.

Toccò terra e poi si alzò Mirko, l’uomo alto e magro coi capelli neri e il viso dolce. Il castello era ormai polvere e piccoli oggetti e resti sparsi su quella desertica superficie lunare.. In lontananza vedeva degli altri scendere su lembi delle ali del drago.

In quel posto tutto gli sembrò nuovo e sentì il bisogno di chiamarsi con un altro nome. Abbracciò gli altri che man mano incontrava e non ricordò più di essere stato un servo.

Trovò il corpo senza amore della sua vecchia padrona e comprese di averla amata e di non aver avuto, solo per un soffio, il coraggio di portarla via con sé.

Questo fatto, però, sulla Luna, non aveva poi tanta importanza.

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