mercoledì 8 agosto 2007

Alfio e il bonsai

C’era un bonsai vicino la finestra.
Alfio lo guardò per un po’, si mise un dito nel naso, ne tirò fuori una cacchetta, la trasformò in pallina e la lasciò cadere a terra. Si alzò e aggiusto i pantaloni troppo stretti, tentando goffamente di tirarli più su. Era sudato, trasandato, malandato e puzzolento, capelli unti, con una sigaretta continuamente in bocca. Nell’ultimo anno gli era anche cresciuta una pancia rotonda, grossa e dura come un pallone di cuoio. Era un appassionato di siti porno e di certi giornaletti comici pieni di barzellette sulla “la passera solitaria” e altre amenità di tal genere.
Le tre del pomeriggio e tutte quelle carte di contabilità lo nauseavano come non mai. Era anche stanco perché aveva passato quasi tutta la notte precedente a masturbarsi davanti al computer. Vicino a lui era seduta Paola. Aveva sempre certe scollature la “collega”! Impossibile non avere un’erezione quando ci parlava, anche se lei lo spesso lo guardava con disprezzo nemmeno celato. A volte Alfio cercava di essere spiritoso e le raccontava qualche barzelletta sporca. Ma lei gli guardava la patta dei pantaloni rigonfia e disgustata si girava dall’altro lato, maledicendo il giorno in cui era capitata in quell’ufficio.
A volte Paola, con quel suo faccino da principessa sul pisello, gli diceva chiaro e tondo di essere schifata dalla sua volgarità e che uno come lui non se lo sarebbe preso neanche per tutto l’oro del mondo. Altre volte gli andava peggio ancora e, al primo accenno di battuta, il nostro uomo era investito da una sgradevole corrente di parolacce e insulti. Comunque riusciva a star contento, Alfio, pur tra l’incudine della denuncia per molestie da parte della collega e il martello della sua natura da maniaco sessuale principiante. Era d’animo tanto semplice e leggero che non coglieva mai o quasi il senso dei discorsi di lei e gli sembrava, anzi, sempre più evidente che fosse segretamente innamorata di lui e che faceva la difficile solo per strategia: in fondo le donne adottano spesso questa tattica perché non vogliono essere scambiate per puttane. E rideva di gusto (ma solo lui!) quando raccontava quelle sue barzellette sul latte-caldo-sperma. Poi capitava che né Paola né le altre donne dell’ufficio ridevano, mentre i suoi colleghi maschi ostentavano dei maligni sorrisetti di circostanza e tornava al lavoro deluso dalla mancanza di senso umoristico di quelli che lo circondavano. Pensava che avrebbe dovuto prima o poi raccontare una di quelle barzellette noiosissime e difficili da capire a causa del doppio senso. Ci aveva provato una volta al liceo, senza grossi risultati. Non ne valeva la pena: erano proprio loro a non sapere cogliere l’aspetto divertente della semplicità.
C’era un bonsai vicino la finestra.
Alfio aveva caldo ed era anche stanco perché aveva passato tutta la notte a masturbarsi davanti al computer. Un collega aveva anche detto che c’era puzza dentro la stanza, invitandolo a fare entrare un po’ d’aria. Si alzò e si avvicinò alla finestra per aprirla. Nel muoversi, grasso e incerto com’era, inavvertitamente diede una gomitata al bonsai. Quella pianticella cominciò a oscillare pericolosamente; Alfio cercò di afferrarla, ma nel farlo si squilibrò e inciampò in una pila di carte che si trovava per terra. Accadde così che il suo tentativo di salvare il bonsai si trasformasse in quello ancora più velleitario di aggrapparsi ad esso, quasi si trattasse di un albero grande, e come se afferrare il ramo dell’albero potesse salvarlo dalla caduta.
E il bonsai cadde. E Alfio rovinò su di esso. La sua schiena e la sua testa urtarono violentemente contro il muro. Il bonsai si sradicò dal vaso. Alfio continuò a cadere e precipitò sul bonsai. Sembrava che una tempesta di vento avesse trascinato un gigante su un albero grande, e invece erano piccoli tutti e due. Paola cominciò a strillare come se si fosse fatta male lei per la caduta di Alfio. Lui cercò di alzarsi e dalla bocca di Paola tracimò un grido di spavento quando vide un piccolo ramo di bonsai conficcato nell’occhio sinistro di Alfio, che si stava alzando senza ben capire cosa gli era successo.
L’occhio era perduto. Nulla da fare: dopo qualche mese di congedo per malattia, rientrò al lavoro con un occhio di vetro.
Tutti i colleghi erano andati a trovarlo. Anche Paola una volta. Tutti erano concordi nel dire che Alfio era cambiato dall’episodio del bonsai, faceva discorsi normali ora, parlando del più e del meno. Con l’occhio rimastogli, leggeva addirittura riviste serie. Qualcuno riferiva anche di aver visto un libro di poesie sul suo comodino in ospedale.
Alfio si era presto abituato all’idea di vivere con un occhio solo. Miracolosamente aveva accettato il fatto. Ma una strana malinconia cominciava a pervaderlo e a spingerlo a fare cose per lui inusuali. Un ramoscello di bonsai era entrato dentro di lui e gli aveva fatto perdere il cinquanta per cento della vista. Probabilmente era accaduto anche che qualcosa del bonsai sradicato fosse rimasto dentro di lui. Forse una scheggia nella cavità oculare, un microscopico pezzettino di foglia vicino al nervo ottico.
Tutti dicevano che era cambiato e anche Alfio si stupiva di essere cambiato e pensò di impazzire la sera in cui la vista del tramonto lo fece commuovere. Si era perso. Non capiva più niente. Prima di allora aveva considerato le donne un assemblato di organi sessuali. Ora trovava poetico lo sguardo di Paola, la quale continuava a guardarlo con una certa aria di superiorità, ma trovava sempre più divertenti, romantici e persino interessanti i suoi goffi approcci, fatti di fiori, cioccolatini e poesie. Certo era il solito Alfio di sempre e in qualche modo dava ancora a tutti sui nervi, con il suo occhio di vetro e la sua persistente puzza di sudore, ma nessuno avrebbe saputo fare a meno di trovare al tempo stesso tenero quell’uomo, divenuto nel frattempo magrissimo.
Vicino la finestra c’era ancora il bonsai. Un mezzo bonsai. Quello che rimaneva dopo il disastro. Alfio la mattina gli si avvicinava senz’odio e lo innaffiava. Vedeva e sentiva tante cose in quel bonsai e tutte doppie: due treni, due cani, due case, due madri, due cartoline arrivate dall’Australia, due mondi rotondi e due piatti, due margherite e due accendini, due innamorati e due coltelli e tante altre due cose. Con un occhio solo vedeva doppie tutte le cose.
Paola seduta al suo tavolo sognava un uomo che in fondo somigliava a quel nuovo Alfio, e comunque continuava a non vederlo. A volte però le capitava di ricordare le sue vecchie barzellette e trovava qualcosa di divertente e provocatorio in quelle battute sulla passera solitaria e sul latte-sperma-sapone di bellezza. Le mancava qualcosa. Sembra che di qualcosa del genere ci sia sempre bisogno come antidoto a un uso smodato del cervello.
Alfio, dopo aver dato l’acqua al bonsai e aver sorriso gioiosamente a Paola, tornava alla contabilità e quando si distraeva faceva pensieri di musica, matematica, poesia e si chiedeva spesso quale forma e quali dimensioni invisibili potesse avere l’universo in cui vivevano lui, Paola e il mezzo bonsai.
Ci fu un momento in cui sprofondò e forse capì. Poi la mente gli si richiuse e ridacchiò spensierato.

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