sabato 8 settembre 2007

Verità rivelata

Franco mi stava dicendo quello che pensava dei miei scritti. A suo parere, ero molle, con poche idee, avevo poco stile e niente fantasia. Insomma, nessun editore avrebbe mai pubblicato una riga di tutto quello che avevo scritto, che non era poi tanto.

Eppure c’era stato un giorno in cui avevo pensato di valere qualcosa, perché me lo aveva detto Mirella e pensavo che lei fosse una che se ne intendeva. Aveva scritto diversi libri e ne aveva addirittura pubblicato uno. Era una così, che si innamorava di qualcosa che nessun altro riusciva a vedere. Solo che quando nessun altro riesce a vedere le cose che vedi tu, devi cominciare a pensare di essere pazzo oppure di aver preso un abbaglio

Mentre Franco andava giù implacabile con i suoi giudizi, cominciai a provare una voglia matta di ucciderlo. Non che ne fossi cosciente, solo che avevo i nervi tesi e i pugni stretti e, mentre la mia vista si concentrava sempre di più sui suoi punti molli, con gli occhi della mente cominciavo a vederlo riverso sul pavimento in una pozza di sangue. Si, avrei voluto ucciderlo, ma capivo anche quanto avesse ragione. Che storia era quella in cui un tale dice la verità a uno scrittore fallito e quello lo uccide fisicamente.

Cominciai a pensare allora a tutta una serie di storie, per lo più a carattere diffamatorio e calunnioso, che avrei potuto inventare su Franco. Sapevo che gli piacevano un sacco i bambini e se ne sarebbe stato ore e ore a giocarci. Così, mentre correggeva come una maestrina pedante uno dei miei ultimi scritti, facendo rilevare tutte le sgrammaticature, che, secondo lui, erano contenute nel testo, cominciai a imbastire una storia in cui Franco era un pedofilo e aveva girato dei filmini con i bambini della scuola in cui la compagna faceva l’insegnante. Sarebbe bastato trovare il modo di fare arrivare la notizia ai genitori dei bambini, e di condirla di due o tre particolari scabrosi, anche se inverosimili, e loro ci sarebbero cascati.

Ma mentre ero intento a costruire nella mia testa questa storia della pedofilia, Franco aggiunse che, sicuramente avevo copiato in un mio racconto un brano e anche molto lungo di “cent’anni di solitudine”. Questa cosa mi parve proprio ingiusta. Certamente il mio accusatore era un serial killer. Erano state uccise due prostitute nell’ultimo periodo. Ora, in questi casi, sono quasi certo che siano i protettori che uccidono le prostitute perché si sono ribellate o perché hanno tentato di fregarli. Ma l’idea del serial killer è buona per calunniare una persona. La gente è portata a credere alla storia del mostro della porta accanto, al tipo con la faccia da bravo ragazzo che non invita mai nessuno a cena, perché i suoi pasti sono a base di carne umana. E anche se poi la polizia fa indagini e non scopre niente è più facile pensare che il mostro sia stato così intelligente da cancellare ogni traccia, piuttosto che qualcuno, orribilmente ferito nella propria dignità, abbia messo in giro la storia ad arte solo per distruggere la reputazione di un altro

- Insomma i tuoi personaggi sono piatti e senz’anima. Tutti, nessuno escluso, anche questo Annibale a cui tieni tanto e in cui, in sostanza, tratteggi i caratteri che tu stesso vorresti avere, sono entità informi. Potresti fare la prova e mettere le parole di uno nella bocca di un altro e nessuno se ne accorgerebbe-.

Pensai alla storia di un rapinatore incallito, di un terrorista musulmano che la chirurgia plastica ha reso praticamente identico a Franco, ancora alla storia del pedofilo e del serial killer. Pensai di farne il capo di una banda di rapinatori, crudeli e spietati uccisori di carabinieri e poliziotti, alle peggiori nefandezze. Pensai di dire che aveva del gas nervino nello scantinato, che aveva ucciso la moglie e mangiato il padre. Pensai a tutte queste cose e ad altre ancora.

Alla fine del suo discorso, Franco prese i miei manoscritti e disse – adesso devi fare una scelta: con queste carte ti ci puoi pulire il culo e buttarle nel cesso o buttarle direttamente nel cesso-.

Ero senza forze e non sapevo ancora esattamente cosa avrei dovuto dire o fare. Avevo tutte quelle storie che mi frullavano in testa e tanta, troppa voglia di uccidere. Lo guardai fisso e mi avvicinai a lui. Reggevo il suo sguardo senza fatica, e in un attimo fui consapevole di quello che avrei fatto.

Fu allora che mi misi a piangere.

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