venerdì 26 ottobre 2007

Luisa ed io (repost)

Venivo da una storia che mi era costata un sacco di soldi in telefonate. Luisa, invece, non era molto loquace e, al telefono si stava poco, giusto il tempo di dire “come stai? Stasera passo a prenderti alle sette.”. Anche in macchina parlavamo poco, però questo non significava sesso sempre e sesso subito. La nostra era una storia fatta di sguardi: cosa volessimo comunicarci con gli occhi nemmeno io lo so. Ma so di certo che, prima di fare sesso, dovevo guardarla negli occhi per almeno un quarto d’ora. Erano i patti non scritti, i nostri preliminari. Poi, passato il periodo di riscaldamento, facevo finta di fare il duro e, con gesto deciso, la afferravo per i capelli e mi ci buttavo addosso. Tutte le storie hanno dei rituali e in questo si somigliano e differiscono tutte tra loro. Noi cominciavamo così.
Poi, durante, lei non era un granché. Fisicamente mi piaceva molto: più alta di me, quarta abbondante di seno, capelli neri corvini, occhi profondi e scuri, ma quando facevamo l’amore non era tutto questo sballo. Di solito si metteva supina, più raramente io dietro di lei. Tuttavia mi aveva minacciato di lasciarmi se solo avessi tentato di sodomizzarla. Non so perché ma l’avevo presa sul serio.
Comunque era troppa per me e io facevo una gran fatica, anche perché in quel periodo non facevo regolare esercizio fisico e, fumando parecchio, avevo il fiato abbastanza corto. Ecco, ora mi ricordo, mi diceva di non fumare: naturalmente, ora che ci penso, quando poi mi lasciò, questo mio vizio dovette avere il suo peso; ma più di questo fu decisivo il fatto che aveva un fidanzato. In effetti mi aveva detto che era una storia che stava per finire e che era alla ricerca di una exit strategy (il gergo militare è mio) e questo aveva tranquillizzato la coscienza di entrambi (anche la deduzione è mia). Tuttavia, metodicamente, lei scompariva a fine-settimana alterni. Lui era un militare e veniva in licenza ogni due settimane. E sistematicamente, i fine settimana in cui restavo da solo a girovagare per il paese, io speravo che lei avrebbe chiarito la sua posizione, non tanto perché ero profondamente innamorato, ma perché avrei voluto che le importasse un pochino di più di me e che non mi considerasse solo un corpo da spremere. C’è anche da dire che io fisicamente non sono uno stallone, forse un asino, ma non certamente un cavallo da monta. E allora “perché?”, mi chiedevo.
Le persone che parlano poco, a primo acchito, mi sembrano molto profonde: questo mi capita perché non sono una cima. In effetti la spiegazione più logica è che si parla poco perché non si ha poco da dire. Vero è che molte persone quel niente lo esprimono con un mare di parole, ma questo non è rilevante con i taciturni. Ho anche pensato che, se come animale da monta non sono il massimo, almeno i miei occhi devono avere un non so che di ipnotico. Francamente, devo però ammettere che questo potere mesmerico, funziona raramente e male.
Resta il fatto che con Luisa aveva funzionato. A casa mia si diceva che “ogni santu avi i so divoti!” per significare che anche il santo più sconosciuto ha qualcuno che lo crede “miraculusu”. Probabilmente è stato così: Luisa mi era devota in quelle serate di inverno, quando diceva a casa di essere andata in palestra e invece andavamo in riva al mare, ci guardavamo tanto e facevamo l’amore in macchina.
C’era spesso un buon odore di legna che arde, proveniente dal forno di una pizzeria lì vicino.
Un giorno feci l’errore di dirle che si stava comportando, forse, un pochino, da stronza. Nel tono della voce fui molto più aggressivo di come lo sto raccontando a voi. Per la verità, fui io che mi comportai da stronzo perché avrei dovuto sapere che certe devozioni si mantengono, a mo’ d’abitudine, proprio perché la statua del santo, se non esaudisce tutti i desideri del devoto, almeno resta muta e non protesta per tutti i suoi molti peccati. E poi il santo della nostra storia tanto virtuoso non è mai stato: cosa pretendeva, o voleva o aspirava?
Ci siamo rivisti qualche settimana fa. Aveva accettato un appuntamento e io, in un angolino di questo cuore pieno di cose banali, pensavo che avrei potuto di nuovo affondare le mani nelle sue tette. Invece le ho detto che non ci eravamo mai amati e avrei voluto dirle anche un’altra cosa: che i pompini proprio non li sapeva fare. Ma è la verità e lei avrebbe potuto invece pensare che era l’insulto di un uomo ferito.

Nessun commento: