Ecco ero partito per fare gli auguri e mi ritrovo ad aver voglia che arrivi subito domattina.
Comunque il 2008 è un numero che mi fa simpatia, spero dia questa buona impressione anche a Voi...
Magari non è corretto e probabilmente non è onesto, perché premetto di non aver letto Wittgeinstein. D’altra parte sarebbe una lettura troppo difficile per il mio ciriveddu. Ma sono andato a cercarmi due citazioni del Tractatus logicus-philosophicus, entrambe ricopiate da un mio vecchio libro di filosofia, che mi sembrano particolarmente dense di significato, anche pratico, per la vita di tutti i giorni:
D’una risposta che non si può formulare non può formularsi neppure la domanda. L’enigma non v’è. Se una domanda può porsi, può pure avere una risposta. Lo scetticismo è non inconfutabile, ma apertamente insensato, se vuol mettere in dubbio ove non si può domandare. Ché dubbio può sussistere solo ove sussiste una domanda; domanda solo ove sussiste una risposta; risposta solo ove qualcosa può essere detto […]. Eppure v’è l’ineffabile. Esso si mostra. E’ il mistico.
E ancora:
Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere.
Tacere quindi non per imposizione o altro evento esterno, ma perché dopo aver riflettuto e pensato, nei limiti della nostra possibilità, siamo arrivati alla conclusione che su certe cose, non ci sono domande e non ci sono neanche risposte.
Qualche tempo fa ho letto un libro di Robert C. Cialdini, intitolato “Le Armi della persuasione (Come e perché si finisce col dire di si)”, pubblicato in Italia dalla Giunti.
Pur essendo stato scritto nel 1984, credo che sia uno di quei libri che vanno “ripassati” di tanto in tanto. Ne consiglierei comunque la lettura a tutti.
Ne riporto un pezzetto tratto dall’ultimo capitolo del libro, tanto per capire cosa vi si legge.
“E tuttavia anche noi abbiamo una capacità limitata e, per una maggiore efficienza, dobbiamo talvolta rinunciare al più elaborato e lungo procedimento decisionale che tiene conto di tutti i dati… Abbiamo esaminato via via alcuni tra i più comuni di questi dati parziali che utilizziamo per decidere in casi del genere…. E’ per questo che ci basiamo tanto sui fattori di contraccambio, coerenza con gli impegni presi, riprova sociale, simpatia, autorità e scarsità, e lo facciamo in maniera così automatica…. E’ tanto più probabile che ci affidiamo a questi segnali isolati quanto non abbiamo la disponibilità, il tempo, l’energia o le risorse per intraprendere un’analisi completa della situazione. Quando siamo in condizioni di fretta, stress, incertezza, indifferenza, distrazione o affaticamento, tendiamo a restringere il nostro campo focale, considerando una parte minore dell’informazione accessibile… ripieghiamo sul metodo, primitivo ma necessario, di prendere per buono un singolo pezzo di informazione”
Tutto ciò diventa tanto più vero nel momento in cui aumentano le fonti di informazioni disponibili, si restringono i tempi che la gente può dedicare alla meditazione e ponderazione delle proprie scelte e, da più parti, con dolo o con colpa, vengono concessi ricchi incentivi “di Stato”, al risparmio energetico diretto all’uso di quella potente macchina, dai consumi eccessivi, che è il cervello.
Il capitolo VI, il più inquietante, del libro di cui ho parlato è dedicato al principio dell’autorità, come strumento di persuasione. Vi si parla dei vantaggi evolutivi che hanno portato questo principio ad essere uno dei principali pilastri su cui si fonda l’organizzazione umana e delle sue potenzialità negative quando esso sia usato in malafede o da millantatori.
Riflettendo, mi pare evidente che quando si è lontani da un fatto o da una situazione, spesso, da un’unica fonte di informazione, traiamo delle conclusioni definitive che, difficilmente, poi vengono rimesse in discussione.
E’ veramente necessario un quotidiano allenamento per verificare l'autorità o l'autorevolezza delle fonti, ma è un compito che va svolto, ogni qualvolta sia possibile, senza nessuna ansia distruttiva, ma anche senza nessuna rassegnazione a farci, singolarmente o collettivamente, prendere in giro.
2007-11-04 14:59 |
Trapiantati fegato e reni a Palermo e Catania |
Organi donati da donna rumena di 38 anni morta a Ragusa |
(ANSA) - RAGUSA, 4 NOV - Trapiantati in Sicilia gli organi di una donna rumena di 38 anni, Lidiea Racu, morta a Ragusa. La donazione e' stata decisa dal marito. Il fegato e' andato al centro Ismett di Palermo e i reni al Centro trapianti del Policlinico di Catania. I coniugi, che hanno lasciato tre figli piccoli in Romania, lavoravano come braccianti agricoli a Vittoria. A causare la morte di Lidiea Racu, secondo la testimonianza del marito, sarebbe stata l'assunzione di alcol con metanolo. |
Io ho le mie idee in tasca e sono sicuramente di sinistra. Qualcuno mi ha chiesto di spiegargli come faccio a capire che le mie idee siano di sinistra. Io sono sicuro che le mie idee siano di sinistra perché il tipo tutto trasandato, che ho svaligiato, aveva nel portafogli la tessera di Rifondazione comunista. Lui, veramente, quando gli ho portato via il portafogli si è messo a gridare: “Al ladro, al ladro!.” E poi “Polizia, polizia!” In effetti io ho rubato perché avevo fame. Non che non avessi soldi per comprarmi da mangiare, ma mi hanno sempre insegnato che uno che ruba quando ha fame è giustificato: sembra un’idea di sinistra anche questa e io non ho motivo per cominciare a pensare diversamente; vuol dire che prima di andare a rubare lascerò il lavoro e mi metterò a digiunare. E poi le idee che avevo rubato al tizio dicevano chiaramente che non c’è nessuno che possa chiamare una roba, proprietà. Inoltre sentivo di appartenere a quella schiera di diseredati – emarginati che lui difendeva nei suoi discorsi politici e nelle sue manifestazioni in piazza. In effetti sono povero perché il mio conto corrente è in rosso e sono pieno di debiti, anche se ho la casa piena di tanti bei mobili, televisori e computer nuovissimi. Ho un SUV che è uno splendore , uno scooter bellissimo e una bici da mille euro che ho dovuto comprare di fretta perché una domenica avevo deciso di fare un giro con un amico. In effetti tutta la mia situazione è di sinistra perché uso delle cose che non ho pagato e non si può dire propriamente che siano mie. Quindi a fare un minimo di ragionamento logico e di deduzioni, giacché non ho pagato niente di tasca mia, non possiedo niente e quindi sono un proletario.
Le idee del tizio che ho derubato erano scritte in un foglio di carta A/4 contenuto nel suo portafogli e in questo foglio A/4 delle idee di sinistra ci sono scritte tante cose: il nucleare è cattivo, l’energia eolica fa scappare gli uccelli, i politici che non sono iscritti a uno dei miei partiti preferiti sono brutti, sporchi e cattivi e ladri; i lavavetri sono buoni; la spesa si fa nei negozi di commercio equo e solidale; bisogna che tutti gli uomini possano andare in pensione a quarant’anni; il capitalismo è cattivo; la democrazia è buona purché le decisioni del popolo siano approvate dai partiti della sinistra, i politici che non sono di sinistra devono essere cacciati dal parlamento e poi bisogna cacciare anche quelli di sinistra, ché un Parlamento vuoto è l’unico parlamento che non fa mai leggi fasciste. C’è un’idea che dice che bisogna combattere la mafia; un’altra dice: “Comunque vadano le cose la Polizia è il nemico” (Ma allora perché quel tizio, quando gli ho rubato il portafogli si è messo, con voce indignata, a chiamare la Polizia. Mica uno chiama un nemico per scacciare un aggressore?); un’altra dice che bisogna fare la sperimentazione sugli embrioni; un’altra che non bisogna fare la vivisezione e un’altra ancora dice che la Chiesa non deve impicciarsi e questo vale sempre in ogni cosa.
Insieme alle altre cose, in ordine sparso e un po’ alla rinfusa (ma l’ordine ci sarà, solo che io non riesco a capirlo) c’era un’idea un po’ strana che diceva: bisogna impedire che il nemico torni al governo e bisogna protestare contro il governo.
Allora è tutto a posto e anche io posso considerarmi di sinistra perché sono un ladro, sono ignorante e ho tante idee di sinistra.
Nel foglio A/4 delle idee di sinistra, cose di questo tipo, che al metro del buon senso apparirebbero strane e incoerenti e che l’uomo qualunque disapproverebbe, sono approvate e incoraggiate. Il foglietto A/4 delle idee di sinistra è proprio una bella cosa, una bussola sicura e infallibile che ci porterà certamente a un mondo migliore.
Art. 610.
Violenza privata
Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare, od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.
La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall'articolo 339.
Art. 612.
Minaccia
Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 51.
Se la minaccia è grave o è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno e si procede d'ufficio.
Art. 614.
Violazione di domicilio.
Chiunque s'introduce nell'abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s'introduce clandestinamente o con inganno, è punito con la reclusione fino a tre anni.
Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro l'espressa volontà di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
La pena è da uno a cinque anni , e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso con violenza sulle cose, o alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato.
Art. 660.
Molestia o disturbo alle persone.
Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a euro 516.
L’avevo conosciuta qualche mese prima in rete. Parlava sempre poco. Diceva di sentirsi sola. E anche che io avevo negli occhi qualcosa che altri non avevano. Sosteneva che l’avevo compresa, anche se io non sono mai riuscito a comprendere, esattamente, quello che avevo compreso. Era anche molto più bella di me.
Al telefono non riuscivamo a dire mai più di venticinque parole. Ma se tra le mie dodicivirgolacinque parole c’era “vediamoci”, tra le sue c’era sempre un si. Almeno fino a quando è durata.
Dovevo averla colpita con qualcosa che non sapevo di avere e che non conosco ancora. Forse i miei giochi di lingua, orbite e atterraggi sul clitoride. Eppure per altre non è stato così.
Tanto non c’è niente da capire.
Rimasi pensieroso. Quella cosa era successa poche settimane prima, ma, pur essendo il ricordo ancora eccitante, malinconico e molto voluminoso dentro la mia testa, sembrava essere successo in un posto lontano. Mi sovvenivano facilmente le impressioni e le immagini, mi eccitavo ancora tanto nel ricordare la luce della sua pelle e mi masturbavo anche e piangevo insieme. Ma c’era qualcosa di strano nello sfondo del campo visivo, un certo qualcosa che cercava di sfuggire con intelligenti artifizi e raggiri.
E mentre ero in preda a quell’ultimo solitario orgasmo, ricordai. Ogni volta che avevo goduto di lei, contemporaneamente il terrore mi aveva inciso le ossa, perché… perché avevo intuito che era un’aliena.
“ Novanta centesimi” – disse il giornalaio. “Ecco” – Risposi dopo aver aperto il portamonete. E pensai che tutto sommato potevo essere solo impazzito.
Poi gli occhi andarono su una foto. Il giornale parlava del passaggio di una cometa appena scoperta, che entro pochi giorni sarebbe stata visibile da tutto il mondo. Alcuni addirittura parlavano di un rischio di impatto. L’astronomo dilettante che l’aveva scoperta l’aveva chiamata “Laura” . - Proprio come lei, proprio come lei - gridò una voce nella mia mente mentre il cuore cominciò a battere forte e il sudore comincio a inzupparmi camicia e mutande.
Avevo sempre detestato i film di fantascienza, quelli che parlavano di alieni soprattutto. Avevo in odio Star Trek, Spock, Guerre Stellari e Matrix, ma in quel momento, ti giuro, avevo la netta impressione di aver subito il controllo pesante di qualcosa di completamente altro da me, di un'altra specie, di un altro mondo.
Dunque nel cielo era apparsa “Laura” e sarebbe scomparsa in un istante astronomico. Nella mia vita era apparsa Laura e la storia era subito finita, dopo qualche orgasmo meraviglioso e terribile, che tuttavia non doveva essere stato granché su scala cosmica. Sentivo che in qualche modo, impossibile da percepire con il mio apparato di cinque sensi, i due fenomeni erano connessi e fusi insieme e che anzi, si era trattato di due manifestazioni diverse dello stesso sostanziale avvenimento.
Ora ti ho raccontato la mia storia e hai capito anche perché ho preso in ostaggio i due poveri astronomi di questo osservatorio. Sono certo di poche cose ormai. So di aver fatto l’amore con Laura. So che Laura è il nome di una cometa transitata qualche tempo fa per i nostri cieli. Sono certo che le donne sono tutte aliene, che sono tutte stelle comete. Sono certo anche che, malgrado qualcuno trovi la cosa romantica, un osservatore imparziale non vi vedrà che velocissimi oggetti di ghiaccio.
Ma devo ancora vederla, studiarla, afferrarla, capirla, farle un cenno, implorarla che ritorni, masturbarmi, piangere e ricordare, prima che si perda e torni ai margini esterni del sistema solare, dove vagherà trecent’anni prima di tornare ancora.
E ho poco tempo.
(A Giovanni per il quale non ho saputo fare di meglio che dargli 50 centesimi e a tutti i Giovanni ubriachi, a mo’ di preghiera)
Mi chiamo Uno, ma non sono il principio. Sono solo uno degli ultimi.
Giovanni, l’ubriaco, come al solito, cammina. Un mondo pieno di immagini opache e distorte. Sembra che sia notte, almeno a giudicare dal fatto che le cose riflettono un po’ meno luce di prima, ancora meno di quanto possano fare i ricordi. Lo tiene in vita la birra e lui per contraccambiare ne beve fino a farsela uscire dagli occhi. Il molo foraneo, barcolla, troppo vicino al bordo sul mare. Prega un Dio attaccato con chiodi su una lattina di birra, pietoso, buono e ubriaco
Mi sembra di non mangiare da quaranta giorni. Ho speso tutte le monete che avevo, tutti i pezzi da 50 cent, da venti, da dieci, da cinque. Mi sono bevuto tutto. Anche l’acqua salata del mare mi berrei se mi rinfrescasse la gola. Ma ho ancora sete e in mezzo alla sete anche un po’ fame. E non importa cosa trovo. Mezzo panino mezzo panino con il salame, in mezzo al puzzo. Coraggio.
Ha detto: “Se tu sei veramente Dio, ordina che questo cassonetto della spazzatura diventi pane”.
E pane è diventato (veramente la storia parla di un rifiuto -non di solo pane vive l’uomo- l’uomo vive anche di birra a volte, ma in questo caso il cassonetto è diventato pane, in mezzo ai topi, in mezzo al tanfo, e non è come un miracolo vero, perché il pane c’era in mezzo alla spazzatura, era stato lasciato in dono a Giovanni, da un bambino viziato, e non si è trattato di una elemosina perché il bambino aveva prima strillato perché voleva il pane e poi strillato perché non voleva più mangiarne e il papà arrabbiato s’era convinto a gettarlo nel cassonetto; ma la storia aveva un significato e Nessuno se l’è presa perché lui ha cercato di tentare il Suo Dio).
C’è qualcosa nell’acqua stanotte. Credo che sia il corpo di Giovanni che viene cullato dalle onde, come da una Madre, madre Pietosa. E c’è anche qualcuno che guarda verso l’acqua. E’ Giovanni senza corpo o meglio, a un metro dal suo corpo, con in mano l’ultima birra stappata, scroccata a qualcuno, un tizio con una Clio bianca: gliel’ha detto mille volte il suo nome, e in questo istante, per caso, se lo ricorda bene: Isidoro. Con in mano una birra e i piedi troppo vicini all’orlo del molo. Gliel’ha detto sulla macchina mentre gli dava dei consigli banali; poi alla fine, non ha saputo fare di meglio che lasciarlo da solo con i soldi per comprarsi un’altra birra.
C’è il corpo di Giovanni nell’acqua, ma c’è anche Uno che lo afferra, lo trae in salvo, lo appoggia dolcemente sul bordo del molo, lo asciuga. Lui è stanco, ha sete, gli chiede 50 cent, per una birra e poi se la va a comprare da un’altra parte, dopo aver camminato ancora per un po’. Non riesce più a ricordare il nome del tizio con la Clio bianca e nemmeno quello del Signore che lo ha salvato dalle acque. Aveva un bel nome, con qualcosa di misterioso. Glielo ha sussurrato all’orecchio e gli ha chiesto di non dirlo a nessuno: “è il Nome Segreto quello che Io ti rivelo” gli ha detto.
Com’era quella storia? Ricorda qualcosa: un tizio che pende da un legno, con degli orrendi chiodi conficcati nei polsi e nelle ossa dei piedi, che dice: “ho sete” e un militare vestito di strani abiti antichi che gli porge una spugna, imbevuta di birra.
Barcolla Giovanni in mezzo alla strada con la mente piena dei suoi pensieri inclinati e si torce la strada, s’allarga, s’allunga, poi si riempie di due enormi luci che sono troppo vicine. E ancora una volta il Tizio di prima, quello dal Nome segreto, lo afferra e gli scansa il pericolo, gli da uno spintone e lo fa cadere più in là. In ginocchio. Una lagrima, un grazie non mi ricordo il tuo Nome, ho sete ho bisogno di bere, mi daresti qualcosa per prendere qualcosa da bere. E così un’altra birra lo spinge di notte ad andare più in là.
Al porto di nuovo, con voglia di dire una preghiera bella, di quelle che penetrano le nubi, di quelle che ti spazzano dentro, che fanno ritornare la casa pulita e con un frigo pieno di lattine di birra, da bere e da dividere con gli amici.
L’acqua è calma e Giovanni dorme per terra. Un piccolo sussulto del petto e il topo che gli stava sopra scappa lontano e non lo vedi più e invece vedi una piccola suora vestita d’un sari. Un piccolo fiore vicino al suo Cristo, disteso per terra, ubriaco.
Al tempo opportuno, si farà giorno.
Come "promesso" ho fatto una piccola ricerca su Carneade (link al sito da cui è tratta la seguente citazione)
Il rappresentante più illustre però della seconda Accademia fu Carneade di Cirene (219/4-129). Uomo di cultura vastissima ed abilissimo dialettico, Carneade condusse un'instancabile polemica nei confronti degli Stoici ed in particolare di Crisippo, contrapponendo al suo sistema filosofico, distinto in logica, fisica ed etica, un vero e proprio " anti-sistema" che lo controbatteva punto per punto. Nel 155 fu inviato ambasciatore a Roma, dove con le sue argomentazioni scettiche sulla giustizia scandalizzò e sconvolse gli ambienti della cultura conservatrice di quella città. Ma la posizione moderata di Arcesilao fu comunque anche di Carneade: pur ammettendo che niente può essere, in senso assoluto, criterio di verità, egli sosteneva l'impossibilità che uno, in quanto essere umano, sospenda il giudizio su tutte quante le cose: a suo avviso, infatti, c'è differenza tra il non-evidente e il non-comprensibile, e tutte le cose sono incomprensibili, ma non tutte sono non-evidenti. (Numenio in Eusebio, P.E. XIV 736 d)
Questa distinzione, che tendeva a salvare in certo modo l'evidenza fenomenica, portava poi Carneade a stabilire comunque un criterio che, se non era il "vero", era però il pithanòn, il probabile, il verosimile.
Essi infatti [gli Accademici seguaci di Carneade] hanno la convinzione che "probabilmente" è bene ciò che essi considerano bene piuttosto che il contrario, e, allo stesso modo, fanno anche a proposito del male... Anzi, stabiliscono pure certe distinzioni tra le rappresentazioni probabili... Ecco perché Carneade e Clitomaco intendono parlare di un "prestar fede in seguito ad una forte inclinazione" e dell'esistenza di un qualcosa che è "probabile", e si servono del probabile anche per la condotta della vita. (Sesto Emp. Schizzi pirroniani I, 226-231)
Da wikipedia apprendo che
Certe parole sono razziste dall’origine: per esempio il termine “extracomunitario” è sempre stato usato per indicare stranieri di serie B e C. Nessuno lo ha mai usato per uno svedese o un americano. Ora che certi stati extracomunitari sono diventati comunitari, siamo confusi e stanchi dello sforzo mentale che dobbiamo fare per distinguere un rumeno (comunitario) da un ucraino (extracomunitario).
Ci ricordiamo dell’incertezza della pena e ci dimentichiamo di vivere in una nazione violenta. Ci ricordiamo dell’incertezza della pena e ci dimentichiamo che esiste la violenza delle mafie, italiane e straniere. Esiste la violenza dello sfruttamento del lavoro italiano e “straniero”. Esista la violenza delle forze dell’ordine. Esiste la mancanza di giustizia nell’amministrazione della giustizia.
Esiste che sappiamo benissimo che misure severe corrispondono a carta straccia. Quando tutto si sarà calmato e la gente tornerà a più ameni delitti di casa nostra, che ci permettono di dividerci in innocentisti e colpevolisti, e non richiedono così pressantemente vendetta, e quando il governo sarà cambiato, torneremo al lassismo di sempre ché tanto siamo italiani e le leggi non le rispettiamo né pretendiamo vengano applicate agli altri.
VEGLIA
Cima Quattro il 23 dicembre 1915
Un’intera nottata
Buttato vicino
A un compagno
Massacrato
Con la bocca
Digrignata
Volta al plenilunio
Con la congestione
Delle sue mani
Penetrata
Nel mio silenzio
Ho scritto
Lettere piene d’amore
Non sono mai stato
Tanto
Attaccato alla vita.
Una donna dietro a un monitor. Conversandoci. Gentile. Di lei solo una piccola foto. Ma gli occhi interiori cominciano a vederla. Un corpo magro e fatto di linee morbide, fasciato da un vestito scuro. Un sorriso caldo. Musica e poesia.
Ho orecchie sterili alle note. Il cuore spesso refrattario alla poesia. Vorrei essere penetrato dalla poesia, ma non ho organi per questo e non riesco che a percepire l’amore che per essa Lei ha dentro. Forse è meglio così. Ma ha un amore abbastanza schivo. La mia mano immagina di scivolare sui suoi fianchi mentre batto sulla tastiera. E’ piacevole eccitarsi senza malizia, senza essersene resi conto. Poi mi accorgo e sento quella leggera pressione nei pantaloni. Sei donna, poetessa, e io t’ammiro, anche se in un modo che magari potrebbe offenderti, se te ne parlassi.
Così poi mentre si parla dell’ultimo libro di filosofia che ha letto o dell’ultima poesia che ha scritto mi lascio andare. Non avrò mai questa donna. E tuttavia il suo corpo aderisce al mio e viene spogliato dal mio desiderio - non so spiegarvi in che modo - dal mio desiderio - per così dire - innocente.
Io lo so che lei è qua vicino e che il tempo e lo spazio non esistono, o forse si, ma non come in realtà ci illudiamo.
E so che penetrarla sarà facile soprattutto perché né lei né io ne siamo esattamente e corporalmente consapevoli. Tuttavia siamo scrittori entrambi ed entrambi facciamo sempre del sesso sfrenato quando scriviamo, anche la lista della spesa. Questo faciliterà le cose. Le mani (di entrambi, ne sono sicuro) godono sulla tastiera come se ci accarezzassimo, come se io abbracciandola andassi a cercare con le dita “qualcosa” tra le cosce di lei. Nessuna telefonata ci darà tanto, solo il letto o la tastiera possono aiutarci. Ma il letto, sia pur necessario in certi casi ed a certe condizioni, ci darebbe l’esatta misura di glutei cellulitici, di peni non esattamente mastodontici, di denti ingialliti dal fumo, di seni e muscoli mollicci, di fiati non proprio odorosi e di altro.
E così la mia fantasia sfrenata ti immagina nuda, alta poco più di un metro e sessanta, un corpo ben fatto e materno, le tue mani sul mio petto nel dopo amore, la tua bocca nella mia bocca nel pre-amore, un letto piccolo che basta appena per due amanti stretti in un abbraccio o l'uno sul corpo dell'altra. Ti penetro con la mia potenza sognata e tu mi domini, guerriera, imprigionandomi fra le tue gambe, cavaliera, mentre sul monitor mi appaiono parole che dicono della tua dolce musica, della quale non sento la bellezza attraverso le mie orecchie sterili, ma sento il ritmo e il vigore attraverso quello del tuo corpo nudo.
Poi ti vengo di dietro mentre scrivi dell’ultima passeggiata che hai fatto nel boschetto vicino casa tua e, io, di altre cose del genere, delle mie corsette e del mio appartamento appena acquistato che vorrei farti vedere, e tu ti lasci dominare, lasciandomi illudere di essere potente e lo fai con dolcezza di fanciulla, che si è smarrita senza essere triste.
E nodi di sguardi che si sciolgono a volte nel serrarsi delle palpebre, ma si ricongiungono subito appena il piacere si attenua un poco e gli occhi possono riaprirsi senza sforzo eccessivo.
E poi ti do il mio seme. Lo faccio scorrere dentro di te, in cerca di te, ancora più profondamente di quanto tu sappia.
E mentre ci salutiamo per la notte mi perdo in un mondo altro, in cui sono mischiati televisione, fantasia ed eventi non avvenuti: alla nascita di nostro figlio, a me ubriaco in qualche buco di locale nella notte, che faccio il poliziotto in una città americana, figlio di delinquenti, eroe convertito al bene, col cappello in testa e la sigaretta eternamente in bocca, e a te maestrina con i capelli neri e corti, insegnante di un quartiere malfamato di una città del sud d’Italia, coraggiosa e sveglia e napoletana, che insegni al nostro bimbo che è figlio di una notte d’estate in cui tu soffrivi terribilmente il caldo e io, terribilmente, la perdita di un amore.
Spero di fare un utile servizio ai miei sparuti lettori, come penso di averlo fatto a me stesso, riportando le nozioni di uranio fissile e uranio impoverito.
Per conoscere il proprio nemico (la guerra, la violenza, lo scoppio), bisogna conoscere anche tecnicamente le sue caratteristiche-
Il materiale fissile comunemente usato nelle bombe atomiche è il cosiddetto "uranio arricchito". L'uranio presente in natura è una miscela del 99,3% circa di isotopo a numero di massa 238 e dello 0,7% circa di isotopo a numero di massa 235; dei due, solo l'ultimo è fissile. Per poterne accumulare una quantità sufficiente occorre quindi "arricchire" l'uranio del proprio isotopo 235.
Tale "arricchimento" (di fatto, una separazione dell'isotopo 235 dall'isotopo 238) avviene convertendo l'uranio in esafluoruro di uranio (UF6), gassoso, e sfruttando successivamente la diversa velocità di diffusione che contraddistingue 235UF6 da 238UF6 per separare i due isotopi. L'identico processo si può compiere anche con il tetracloruro di uranio (UCl4). Queste sostanze si possono portare allo stato gassoso a basse temperature, ciò consente di separare i due isotopi meccanicamente. La sostanza viene centrifugata ad altissima velocità, in speciali centrifughe montate in serie (a "cascata"). Queste concentrano progressivamente l'isotopo 235 separandolo dall'omologo chimico 238 sfruttando la piccolissima differenza di peso specifico tra i due. L'uranio arricchito per le testate atomiche è composto per il 97% circa di U 235.
È possibile separare l'isotopo 235 anche con altre metodologie, su scala minore o con tecnologie molto più sofisticate (come il laser).
Il prodotto di scarto del processo di arricchimento è uranio, in grande quantità, composto quasi totalmente dall'isotopo 238 perciò inutile per la reazione nucleare, con una percentuale di U 235 bassissima. È il cosiddetto uranio impoverito, cioè uranio con una frazione di U 235 inferiore allo 0,2%. È classificato come scoria radioattiva, ma viene usato per costruire proiettili e bombe in sistemi d'arma convenzionali. La tossicità dell'uranio impoverito, di origine chimica e radiologica, è oggetto di una controversia legata al suo uso, ma è stata accertata nel caso esso venga inalato o ingerito.
Da wikipedia enciclopedia libera (voce: http://it.wikipedia.org/wiki/Bomba_atomica)